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mercoledì 3 novembre 2010
Vedetevi il video e fatevi 4 risate... il Presidente della RAI ha fatto una bella figura....
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martedì 2 novembre 2010
GREENPEACE: STOP AL NUCLEARE ANCHE IN FRANCIA. EPR CON TRE ANNI DI RITARDO!
ROMA, 27 ottobre 2010 - Almeno tre anni di ritardo per il cantiere del reattore nucleare EPR di Areva/EDF di Flamanville, che non entrerà in produzione prima del 2015. Tempi incerti, costi più che doppi, e sicurezza tutta da dimostrare: un'altra prova del bluff nucleare, dopo lo stop che il progetto ha già ricevuto negli Usa.
Solo a febbraio, infatti, il Presidente Obama aveva sbloccato i primi fondi di garanzia per le banche che finanziano parte della costruzione di centrali nucleari. Constellation Energy, una delle aziende elettriche USA socia dei francesi di EDF nella società Unistar, ha ricevuto un fondo di garanzia per 7,5 miliardi di dollari per costruire il primo EPR negli USA (al costo di 7,5 miliardi di euro, ben di più dei 4-4,5 reclamizzati in Italia da Enel e Governo). Nonostante questo, Constellation ha rinunciato alla copertura pubblica affossando il progetto. Il giorno dopo, il valore delle sue azioni in borsa è aumentato!
«Il nucleare francese è alle corde: dopo il fiasco dell’EPR negli USA nessuno vuol finanziare una fonte energetica pericolosa ed economicamente svantaggiosa - commenta Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia -. Non si capisce perché noi italiani dovremmo essere così stupidi da costruirne addirittura quattro!»
Contatti:
Ufficio stampa Greenpeace, 06 6816061 int.211, 239, 203
Maria Carla Giugliano, ufficio stampa, 3483988615
Alessandro Giannì, direttore delle Campagne, 3408009534
sabato 16 ottobre 2010
GREENPEACE/MAREA ROSSA: IRRESPONSABILE RIAPRIRE IMPIANTO IN UNGHERIA. PREOCCUPANTE IL DEPOSITO IN SARDEGNA
ROMA, 15 ottobre 2010 – Greenpeace ritiene un atto irresponsabile la riapertura dell’impianto di alluminio della Mal ad Ajka, nell'Ovest dell'Ungheria. L’associazione ambientalista chiede al governo ungherese di non riattivare gli stabilimenti fino a quando una Commissione internazionale di esperti indipendenti non ne abbia verificato la sicurezza.
Solo dieci giorni fa, tonnellate di fanghi tossici si riversavano nell’ambiente, contaminando 40 chilometri quadrati e togliendo all’agricoltura ben 4.000 ettari di terreno. La marea rossa che ha sparso cinquanta tonnellate di arsenico, oltre a mercurio e cromo ad alti livelli, ha causato la morte di 9 persone e il ferimento di centinaia di altre, oltre a un danno irreparabile all’ecosistema del fiume Marcal, decretato “fiume morto”. Questi i primi bilanci ambientali e sanitari, ma non è finita.
«Ancora non si conoscono le vere cause del disastro – afferma Vittoria Polidori, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace - e il rischio di danni alla salute è tutt’altro che irrisorio. Eppure le autorità hanno autorizzato il ritorno degli sfollati a Kolontar, uno dei due villaggi più devastati, ma con l’obbligo di indossare le mascherine contro la polvere. Un obbligo che conferma il rischio elevato per le popolazioni locali».
Mentre Greenpeace continua a tenere alta l’attenzione sul sito del disastro in Ungheria, si affaccia un nuovo potenziale allarme ma questa volta in casa nostra. A 200/300 metri dalla costa sud occidentale della Sardegna, esiste dal 1975 un deposito di fanghi rossi pericolosi di proprietà dell’Euroallumina, società italiana acquistata nel 2008 dalla russa Rusal (leader mondiale nella produzione di alluminio), la cui manutenzione sembra lasciare a desiderare.
A parte la costruzione di mura perimetrali della mega vasca di contenimento, che oggi raccoglie ben 20 milioni di metri cubi di fanghi, il sito non sembra sia stato oggetto di grandi migliorie. Negli anni scorsi si sono registrati degli sversamenti dei fanghi anche nelle falde acquifere che hanno fatto mettere sotto sequestro l’impianto, oramai chiuso dal 2009. Nel tempo, infatti, il livello dei fanghi nella vasca è sceso di circa 11 metri (da 36 a 25 metri) e ciò lascia supporre perdite consistenti nell’ambiente.
«Non esiste un trattamento definitivo per mettere davvero in sicurezza questi fanghi, così come sono ancora in fase di sperimentazione le tecniche per il loro recupero. È fondamentale - conclude Polidori - lavorare quindi sulla prevenzione di questi terribili disastri, adottando tecnologie all’avanguardia e una gestione attenta e corretta delle aree di stoccaggio».
Contatti:
Maria Carla Giugliano, ufficio stampa, +39 349.6066159
Vittoria Polidori, responsabile campagna Inquinamento, +39.348.3988919
Solo dieci giorni fa, tonnellate di fanghi tossici si riversavano nell’ambiente, contaminando 40 chilometri quadrati e togliendo all’agricoltura ben 4.000 ettari di terreno. La marea rossa che ha sparso cinquanta tonnellate di arsenico, oltre a mercurio e cromo ad alti livelli, ha causato la morte di 9 persone e il ferimento di centinaia di altre, oltre a un danno irreparabile all’ecosistema del fiume Marcal, decretato “fiume morto”. Questi i primi bilanci ambientali e sanitari, ma non è finita.
«Ancora non si conoscono le vere cause del disastro – afferma Vittoria Polidori, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace - e il rischio di danni alla salute è tutt’altro che irrisorio. Eppure le autorità hanno autorizzato il ritorno degli sfollati a Kolontar, uno dei due villaggi più devastati, ma con l’obbligo di indossare le mascherine contro la polvere. Un obbligo che conferma il rischio elevato per le popolazioni locali».
Mentre Greenpeace continua a tenere alta l’attenzione sul sito del disastro in Ungheria, si affaccia un nuovo potenziale allarme ma questa volta in casa nostra. A 200/300 metri dalla costa sud occidentale della Sardegna, esiste dal 1975 un deposito di fanghi rossi pericolosi di proprietà dell’Euroallumina, società italiana acquistata nel 2008 dalla russa Rusal (leader mondiale nella produzione di alluminio), la cui manutenzione sembra lasciare a desiderare.
A parte la costruzione di mura perimetrali della mega vasca di contenimento, che oggi raccoglie ben 20 milioni di metri cubi di fanghi, il sito non sembra sia stato oggetto di grandi migliorie. Negli anni scorsi si sono registrati degli sversamenti dei fanghi anche nelle falde acquifere che hanno fatto mettere sotto sequestro l’impianto, oramai chiuso dal 2009. Nel tempo, infatti, il livello dei fanghi nella vasca è sceso di circa 11 metri (da 36 a 25 metri) e ciò lascia supporre perdite consistenti nell’ambiente.
«Non esiste un trattamento definitivo per mettere davvero in sicurezza questi fanghi, così come sono ancora in fase di sperimentazione le tecniche per il loro recupero. È fondamentale - conclude Polidori - lavorare quindi sulla prevenzione di questi terribili disastri, adottando tecnologie all’avanguardia e una gestione attenta e corretta delle aree di stoccaggio».
Contatti:
Maria Carla Giugliano, ufficio stampa, +39 349.6066159
Vittoria Polidori, responsabile campagna Inquinamento, +39.348.3988919
mercoledì 15 settembre 2010
giovedì 24 giugno 2010
sabato 22 maggio 2010
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